lunedì 3 agosto 2009

S.Agata de'Goti






"La bellezza salverà il mondo" (F.Dostoevskji)

E’ uno di quei pomeriggi di Luglio che sembrano non finire mai, di quelli in cui c’è troppa luce ed il caldo perseguita ogni movimento e gela ogni pensiero. Un pomeriggio di ventilatori che alitano solo aria calda e non raffreddano mai. E’ uno di quei giorni in cui ci si deve arrendere semplicemente perché non esiste scelta; un giorno in cui il materasso è una lingua di asfalto che arde e frigge la mia schiena già impanata di sudore e mi induce a cercare chissà cosa senza sapere dove.

Sant’Agata de’ goti è una bambola di ceramica glabra messa a sedere su quei comò di inizio novecento con le venature del legno che brillano di restauro, o che giacciono appoggiate su quelle eleganti sedie trapuntate in seta di quei soggiorni barocchi carichi di velluti e gonfi di tende ricamate a mano. Una bambola dai capelli lisci e sottili, color grano, pettinati con cura da mani gentili e sottili che suonano pianoforti probabilmente.

Sant’Agata è circondata da una dozzina di contrade che non le somigliano per niente, ma che le ricordano il suo passato di pomodori arsi dal sole, di castagne rubate e di acqua tirata su dai pozzi. Sant’Agata è un’orfana ma che ha tanti fratelli. Mi accoglie lo stradone di sempre, fitto di alberi giovani e rigogliosi che scortano il bordo buio della strada come soldati ubbidienti, e che precedono l’ingresso sul vuoto che anticipa di qualche metro la facciata imponente del paese che si affaccia oltre la siepe.

Addentrarsi nei luoghi di questo centro è come salire gli scaloni di marmo di un’università prestigiosa o di un edificio pubblico antico e ben tenuto. Sant’Agata si sporge su un fiume che non esiste, ma che tutti hanno imparato ad immaginarne il suono e a temerne la corrente. I balconi sono intarsiati di ferro battuto e levigato, le porte delle botteghe in legno massello hanno le cerniere di ottone e si aprono tutte verso l’esterno mentre gli intonaci pastello riprendono quasi sempre compostamente le tinte di una volta. Gli uomini sono ben pettinati, hanno i baffi curati ed i colletti delle camicie impomatati. Girano a piedi e frequentano sorridenti le viuzze del paese il cui cui unico torto è quello di ospitare un numero inspiegabilmente eccessivo di barbieri e di farmacie. Il vento non si alza manco a quest’ora e le stradine si divertono a strangolare l’aria e di moltiplicare la calura. I limoni abbelliscono le piazzette che interrompono il decumano. Le fontane di pietra ed i portali delle chiese sono raccolti come il petto di una donna non più troppo giovane e che ha troppi pensieri per la testa.

E’ un pomeriggio di quelli in cui ci si sbatte e non si riesce a trovare pace fino a quando l’inquietudine non si trasforma in inerzia e il movimento nasce spontaneo, come naturale ed impulsiva alternativa al soffocamento. Il motivo per cui sono arrivato a Sant’agata de’ goti l’ho capito soltanto quando sono tornato a casa.

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