venerdì 8 maggio 2009

Gallo Matese







Quasi ogni mattina vado a trovare qualche paese come si va a trovare un vecchio zio, vado a vedere che faccia ha, a che punto è la sua malattia o la sua salute. Vado per vedere un paese, ma alla fine è il paese che mi vede, mi dice qualcosa di me che non sa dirmi nessuno”

(F.Arminio – Vento forte tra Lacedonia e Candela)

Gallo Matese è un paese introverso, schivo, forse anche diffidente. La signora Vittoria è ferma sulla soglia di casa e chiude con le mani il suo grembiule, nel quale raccoglie un mucchio di erbe, la quantità che le serve a sfamare anche oggi le sue galline. Ha il profilo matesino, quello di un tempo, le mani callose e brune, mentre in bocca le restano i resti di quattro denti, oltre a tanta voglia di parlare. La donna ha gli occhi leggermente a mandorla e la parlata strana. E’ lei che mi chiama e mi dice che quella chiesa che sto fotografando in realtà non è più una chiesa, ma in estate diventa un albergo per anziani. L’ chies l chiurett’n nu sacc r’ann fa aropp lu terremot. Ne approfitto e le faccio qualche domanda e le chiedo se vive sola. I figli di Vittoria non ci sono più, lavorano fuori. La prima vive a Torino e gli altri due a Venafro, più vicino. Barbara, la più grande, ha sposato un poliziotto e fa la parrucchiera. Ha un bel negozio e guadagna bene. Le chiedo come fa a campare e Vittoria mi dice che ha la pensione da coltivatore e mangia quello che la terra produce, le uova delle galline e che i figli di Venafro l’aiutano a pagare le bollette. Chest’ cas ce l’accattett’m cu le mucche poi s’arrubbett’n le mucche e mio marito murett pe la depressione. Vittoria mi racconta che le uniche ricchezze che avevano erano le mucche e mi dice del marito, della sua malattia che lo condusse fino alla morte a causa del dolore per il furto delle mucche. Racconta, con fervore, supportata dal gesticolare nervoso di una mano, che il vecchio non riusciva a farsi capace, che la notte non dormiva e che spesso andava in giro con il fucile per il paese e per la montagna a cercare i bovini scomparsi. Le mucche erano tutto e con le mucche volevano comprarsi la casa. Tenevem nov’ mucche, prima ce arrubbet’n quatt e po ati’ tre. Negli occhi di Vittoria c’è il racconto della sua famiglia, di Gallo Matese; le sue parole narrano la storia di un paese arroccato e soffocato dai monti, con un lago inutilmente bello e commovente, di un paese di porte chiuse. Gallo fu occupata da un gruppo di bulgari prima che dai sanniti e più recentemente, insieme a Letino, fu rifugio e punto d’appoggio di quei briganti che si nascondevano nelle grotte della montagna sognando una rivoluzione anarchica che non attecchì mai. Gallo Matese oggi è un paese solo, che se ne sta per conto suo, disabitato. Ovunque ci sono case fatiscenti, alcune in corso di ristrutturazione, altre molto vecchie e basta. La ruggine della fontana è cotta dal sole, un marmo ricorda i caduti in guerra, mentre le insegne dei negozi sono piccole e vecchie e sembra che siano chiuse da anni. C'è un Bar - Alimentari e la merceria, che è l’unico negozio del tempo libero. In vetrina ci sono delle forbicine per unghie, una copia di Tex, una canottiera di lana, una bambola e delle scarpe da montagna. Su molti balconi, o appese alle finestre, c’è la bandiera degli Stati Uniti. Incontro una famiglia intera, che siede all’aperto e si ripara dal sole forte, sotto una tettoia di plastica ed un ombrello incastrato tra le pietre. La donna giovane sta cucendo qualcosa, sua madre ha un fazzoletto legato alla testa e la bocca aperta, come se dormisse, mentre l’uomo anziano ha le braccia sulle ginocchia e guarda fisso a terra. Arrivo nella piazza centrale e trovo due uomini che lavorano alla più antica della arti dell’uomo, ovvero del come consumare il tempo. Parlano senza parlare. E’ un gesticolare muto, un rosario di segni e di suoni che da lontano non capisco. Uno ha un aspetto più giovane, ha i capelli bianchi e l’altro con la barba sfatta e vestito in modo troppo pesante e sproporzionato rispetto al sole forte di questo sabato pomeriggio. Chiedo loro quanto dista Letino, ma mi forniscono due informazioni diverse. Uno mi dice 3Km e l’altro 5. Cominciano a litigare scherzosamente. Ma che dici. Tu non sei mai andato a Letino secondo me. Gli chiedo del paese, di Gallo. Prima Gallo aveva quattromila abitanti, oggi forse quattrocento. Il lavoro non c’è e tutti sono andati via. Dove? Venezuela, Argentina, America e Venafro. E voi che ci fate voi qui, chiedo io. Io lavoro nell’edilizia dice l’uomo coi capelli bianchi mentre l'altro monta sulla vecchia mountain bike e scende giù perdendosi nei vicoletti del paese. Mi racconta che al di là dell’agricoltura e di un poco di lavori di ristrutturazioni non c’è più nulla a Gallo Matese e che molti sono dovuti scappare altrove. Lo saluto e mi dirigo nella chiesa, che stranamente è aperta. Appena entro mi torna in mente mia nonna. Lo stesso odore di umido e di vecchio, di stantio e di fresco, di casa. I colori della chiesa sono molto accesi e sulle pareti ci sono, oltre alle crepe ben visibili, i disegni dei bambini, che sembrano non essere mai esistiti in questo paese.

3 commenti:

  1. ci vorrebbe un video. anzi no. bastano le parole. brav.
    Dimitri.

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  2. mi è piaciuto molto.
    ruz

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