sabato 27 febbraio 2010

Barra (East Neaples)




I palazzoni hanno un aspetto bisunto e greve, le ringhiere di ferro sono spellate di muffa e ruggine. Barra è un groviglio di lamiere incustodite, robuste inferriate e capannoni in disuso che sanno di nafta ed asfalto. L’aria è calce trascinata dal vento, polvere di mattone grezzo mentre il contorno è il delirio di un cielo nero che brilla di eternit e carbone. Sui balconi ci sono troppi panni ammassati, semplicemente abbandonati all’asciugatura, mentre le fogne straripano sempre la stessa acqua rancida e stantia che non sfocia mai in nessun mare. Barra è un territorio senza perimetro, senza movimento, un campo vuoto e spalancato, dietro i portoni di acciaio serrati con pesanti catenacci. La strada attraversa tutti i paesi che precedono il capoluogo. Un tempo il miglio d’oro, oggi Ponticelli, San Giorgio a Cremano, Ercolano, San Giovanni a Teduccio e Barra. Mio padre in questi posti ci ha trascorso la sua giovinezza ed oggi li guarda con gli occhi che hanno la patina lucida della vecchiaia, il prurito della pudicizia. Marturriello uccise un uomo durante una lite e fu così che la famiglia del morto qualche mese dopo ammazzò suo fratello. Per pareggiare i conti. Erano gli anni 60 e così si regolavano le vertenze della strada. In silenzio, al buio. Dove c’era un pescivendolo oggi c’è un negozio di frutta e al posto del cinema c’è un ingrosso cinese, mentre la statua nella piazza è stata spostata all’interno. Cumuli ovunque. In quel basso abitava Tonino. In quella casa facevano i turni per dormire perché erano in troppi. Il Corso Sirena è noto per le sparatorie e per i figli ammazzati ricordati dai telegiornali ed agli angoli delle traverse che incrociano la via principale i necrologi ricordano chi è andato via da pochissimo. Ciro Barbuglia detto Capitone, Oreste Caparto detto O figlio do’ lione. Non sono neanche le quattro, ci facciamo largo tra le facce brune e gli sguardi di chi ti squadra dalla testa ai piedi. Una vecchia auto si ferma al centro della strada. Scendono due donne cinesi, madre e figlia, e corrono ad alzare la saracinesca. I vessilli delle paranze brillano nell’oscurità dei vicoli. In alto spiccano i loro cuori, i colori sociali del sangue e del sudore di chi porta la madonna in braccio tutto l’anno. La festa del Giglio è ancora lontana, ma i circoli sono già in fermento. Il sangue devoto di chi si accolla la fatica. In tutti i bar ci sono le foto della festa della madonna. Da Napoli Barra non si vede, eppure è appena laggiù, dove finisce l’autostrada.

venerdì 12 febbraio 2010

E’ l’umore di chi guarda


E’ l’umore di chi guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi si impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia.
Non puoi dire che un aspetto della città sia più vero dell’altro, però della Zemrude d’in su senti parlare soprattutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d’in giù, percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per tutti presto o tardi, viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato. Il caso inverso non è escluso, ma è più raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude, con gli occhi che scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi.
(Calvino – Le città invisibili)

sabato 6 febbraio 2010

Metropolis


Non diamo dunque particolare importanza al nome della città. Come tutte le metropoli era costituita da irregolarità, avvicendamenti, precipitazioni, intermittenze, collisione di cose e di eventi, e, frammezzo, punti di silenzio abissali; da rotaie e da terre vergini, da un gran battito ritmico e dall’eterno disaccordo e sconvolgimento di tutti i ritmi. E nell’insieme somigliava a una vescica ribollente posta in un recipiente materiato di case, leggi, regolamenti e tradizioni storiche.

(L'uomo senza qualità - R. Musil)