E’ l’umore di chi guarda che dà alla città di Zemrude la sua forma. Se ci passi fischiettando, a naso librato dietro al fischio, la conoscerai di sotto in su: davanzali, tende che sventolano, zampilli. Se ci cammini col mento sul petto, con le unghie ficcate nelle palme, i tuoi sguardi si impiglieranno raso terra, nei rigagnoli, i tombini, le resche di pesce, la cartaccia.
Non puoi dire che un aspetto della città sia più vero dell’altro, però della Zemrude d’in su senti parlare soprattutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d’in giù, percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per tutti presto o tardi, viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato. Il caso inverso non è escluso, ma è più raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude, con gli occhi che scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi.
(Calvino – Le città invisibili)
Non puoi dire che un aspetto della città sia più vero dell’altro, però della Zemrude d’in su senti parlare soprattutto da chi se la ricorda affondando nella Zemrude d’in giù, percorrendo tutti i giorni gli stessi tratti di strada e ritrovando al mattino il malumore del giorno prima incrostato a piè dei muri. Per tutti presto o tardi, viene il giorno in cui abbassiamo lo sguardo lungo i tubi delle grondaie e non riusciamo più a staccarlo dal selciato. Il caso inverso non è escluso, ma è più raro: perciò continuiamo a girare per le vie di Zemrude, con gli occhi che scavano sotto alle cantine, alle fondamenta, ai pozzi.
(Calvino – Le città invisibili)
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