A Tocco Caudio si gioca ancora, anche se la partita è finita già da un pezzo. Per vivere a Tocco bisogna resistere almeno tre volte. La prima quando si nasce, la seconda mentre si continua a vivere qui, nonostante le violenze inferte dal terremoto ed infine se si decide di morire a Tocco Caudio. I bar dove i vecchi giocano a carte non sono più nel centro storico, ma qualche centinaio di metri più avanti, appena dietro la montagna. Dopo aver attraversato le terre dell’olio adesso guado questo mare di vitigni, e remo in una distesa senza fine di viti e grappoli. Il sole è alto e bacia le uve dorate appese come drappi. E’ quello delle sette di sera ed ogni cosa luccica a quest’ora. Melizzano, Frasso, Cautano. Il Taburno è un immenso orizzonte di Aglianico e di Falanghina. Alcuni sono in giro a fare una passeggiata, che somiglia più all’ora d’aria dei carcerati. E’ una necessità, più che un piacere. Si esce a piedi per sgranchire le gambe, per fare un po’ di movimento muto. Ci si spinge fino alla fine del paese, di solito si va all’orizzonte estremo; si arriva in prossimità del bivio o del “dare precedenza”, verso lo stesso scorcio panoramico di sempre. E poi si torna a casa. Le mamme trascinano i carrozzini controvento con una mano e con l’altra si aggrappano agli uomini che indossano il maglione della domenica. Si avanza senza dire parola, a fatica. E’ un modo come un altro per passare il tempo a Torrecuso a Paupisi e a Foglianise. E’ una delle tante domeniche tutte uguali quaggiù. Una domenica che somiglia a tutti gli altri giorni della settimana. I bar sono pieni di gente, uomini per lo più. Una partita a carte, un commento sul gran premio. L’Inter ha vinto un altro scudetto, le elezioni sono alle porte e c’è chi azzarda discorsi sul sindaco uscente. Nelle terre del terremoto ansima il centro storico di Tocco, dove non ci vive più nessuno da tempo. Alcuni ragazzi mi invitano a salire su, verso quel che resta del paese abbandonato. In fondo c’è il santuario. Lo stanno ristrutturando. Il paese nuovo è a due Km di distanza da qui. Un uomo con gli occhiali da sole e benvestito mi racconta della migrazione in seguito al terremoto. Nel 1962 il primo grave colpo, il centro di Tocco fu evacuato e nonostante fosse in pericolo, una trentina di famiglie decisero di restare aggrappate alle loro case. In seguito alle scosse del novembre 1980 e del Febbraio 1981 il paese fu reso completamente inagibile e anche per loro fu necessario il trasferimento. In totale mille persone furono costrette a lasciare Tocco. Alcuni andarono in Toscana; comprarono terreni e misero in piedi una fabbrica di pellame e poi piano piano sono andati tutti gli altri. L’emigrazione è un passaparola e quasi sempre un appoggio è una necessità, specie quando ci si muove da un paese di mille anime e ci si mette sulla strada che porta verso il mondo. Scavalco la sbarra e mi dirigo dove agli occhi non è dato sapere, ma solo immaginare. Attraverso questo luogo disabitato ma vivo. E’vivo perché non mi sono mai sentito così vivo. Doveva essere un bel paese un tempo Tocco Caudio, prima che divenisse un cumulo di macerie. Il centro storico arriva alla fine di una strada panoramica, avvolta quasi a chiocciola attorno alle mura ingiallite e lesionate. Lo stradone si esaurisce in un gruppo di case che dall’altro lato affacciano sulla vallata. Qui si vede il segno del tempo e tutto è in rovina. Ciuffi d’erba incolta crescono un po’ ovunque. Tocco Caudio è un boccone che non riesco ad ingoiare. Mi spingo fin dove il brivido mi frena. C’è un intenso odore di foglie quaggiù, il vento porta con sé un aroma dolciastra. Oltre alle facciate ancora in piedi c’è una lunga fila di case sfondate, di pavimenti sventrati, di solai divelti, di pareti lesionate, oltre alla mano degli sciacalli che ha fatto razzia finanche delle ringhiere dei balconi. Resta lo scheletro del paese ed il suo volto caldo, il profumo selvatico della piazza enorme, dove un tempo c’erano le panchine, dove una volta si svolgeva la vita del paese, il fermento. Tocco mi ricorda un malato terminale che ce la fa a respirare ancora. Un muro fatiscente conserva una scritta che inneggia a Nenni, ex segretario del Psi, mentre su una lamiera arrugginita c’è scritto “Cosimo e Concetta fanno l’amore”.
La storia di Piero
1 mese fa
ciao, sono una ragazza nata, cresciuta e pasciuta nel casertano. mi interessa molto il vostro progetto.
RispondiEliminam sn presa la libertà d linkare il vostro blog sul mio!
non ho molta esperienza come blogger... quindi nn so cm funzionano questi fatti! mi sembrava solo carino avvisarvi...
continuate così!