"La bellezza salverà il mondo" (F.Dostoevskji)
E’ uno di quei pomeriggi di Luglio che sembrano non finire mai, di quelli in cui c’è troppa luce ed il caldo perseguita ogni movimento e gela ogni pensiero. Un pomeriggio di ventilatori che alitano solo aria calda e non raffreddano mai. E’ uno di quei giorni in cui ci si deve arrendere semplicemente perché non esiste scelta; un giorno in cui il materasso è una lingua di asfalto che arde e frigge la mia schiena già impanata di sudore e mi induce a cercare chissà cosa senza sapere dove.
Sant’Agata de’ goti è una bambola di ceramica glabra messa a sedere su quei comò di inizio novecento con le venature del legno che brillano di restauro, o che giacciono appoggiate su quelle eleganti sedie trapuntate in seta di quei soggiorni barocchi carichi di velluti e gonfi di tende ricamate a mano. Una bambola dai capelli lisci e sottili, color grano, pettinati con cura da mani gentili e sottili che suonano pianoforti probabilmente.
Sant’Agata è circondata da una dozzina di contrade che non le somigliano per niente, ma che le ricordano il suo passato di pomodori arsi dal sole, di castagne rubate e di acqua tirata su dai pozzi. Sant’Agata è un’orfana ma che ha tanti fratelli. Mi accoglie lo stradone di sempre, fitto di alberi giovani e rigogliosi che scortano il bordo buio della strada come soldati ubbidienti, e che precedono l’ingresso sul vuoto che anticipa di qualche metro la facciata imponente del paese che si affaccia oltre la siepe.
Addentrarsi nei luoghi di questo centro è come salire gli scaloni di marmo di un’università prestigiosa o di un edificio pubblico antico e ben tenuto. Sant’Agata si sporge su un fiume che non esiste, ma che tutti hanno imparato ad immaginarne il suono e a temerne la corrente. I balconi sono intarsiati di ferro battuto e levigato, le porte delle botteghe in legno massello hanno le cerniere di ottone e si aprono tutte verso l’esterno mentre gli intonaci pastello riprendono quasi sempre compostamente le tinte di una volta. Gli uomini sono ben pettinati, hanno i baffi curati ed i colletti delle camicie impomatati. Girano a piedi e frequentano sorridenti le viuzze del paese il cui cui unico torto è quello di ospitare un numero inspiegabilmente eccessivo di barbieri e di farmacie. Il vento non si alza manco a quest’ora e le stradine si divertono a strangolare l’aria e di moltiplicare la calura. I limoni abbelliscono le piazzette che interrompono il decumano. Le fontane di pietra ed i portali delle chiese sono raccolti come il petto di una donna non più troppo giovane e che ha troppi pensieri per la testa.
E’ un pomeriggio di quelli in cui ci si sbatte e non si riesce a trovare pace fino a quando l’inquietudine non si trasforma in inerzia e il movimento nasce spontaneo, come naturale ed impulsiva alternativa al soffocamento. Il motivo per cui sono arrivato a Sant’agata de’ goti l’ho capito soltanto quando sono tornato a casa.
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