(Dal Blog Comunità provvisoria - Franco Arminio)
La paesologia è in guerra con le parole, è in guerra con le astrazioni. È quella che faccio girando da solo per i paesi, non è l’intervista, non è il commento che scrivo su un blog, non è la mail in cui mi lamento, non la frasetta che metto ogni tanto anch’io su face book. La paesologia viene quando penso alla morte in mezzo a una strada vuota, quando sto col vento in faccia, quando do un pezzo del mio panino a un cane.
La paesologia è l’illusione di trovare anime mute, anime sconvolte dal clamore di un attimo qualsiasi e non dagli spettacolini del tubo catodico o del pianeta google.
Io so che la parola ormai è come infiammata, non è più il distillato verbale della carne, non è la meraviglia con cui possiamo dire il mondo, ma un’affezione, una sorta di tubercolosi elettronica che ci fa tossire nell’aria verbi inutili e aggettivi che non spiegano niente. È una malattia che cresce consumandosi, più parliamo e più la nostra mente diventa un luogo intossicato. Con la paesologia provo a offrire, a offrirmi un rimedio. È la farmacia dell’andare fuori, lontano dagli schermi, è il passare sui marciapiedi dove non passa nessuno, è il sedersi dove non si siede nessuno. Il paesologo quando sta bene dialoga con le porte chiuse, coi gatti, con quelli che non sono al passo coi tempi.
Cerco i paesi che sono rattrappiti o quelli che crescendosi si sono perduti. Cerco sempre e comunque forme di esistenza in cui qualcuno sappia dare un filo di beatitudine al proprio fallimento.
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