Nella casa di Fortunato c’è un aroma intenso di brodo di pollo che si mescola a quello dei broccoli lessati, lasciati in solitudine a bollire sul fuoco. E’ un’atmosfera rappresa e spessa che brilla opaca nell’aria satolla, intrisa di umidità e di vapore, che ricopre ogni cosa, dalle pentole alle sedie, alla stregua di una patina grigia. Il suono scomposto del gorgoglio della bollitura proveniente dalla cucina è una nenia permanente che non conosce acuti, ma che è sufficiente ad alterare il silenzio assordante del primo mattino. Fortunato è un uomo di mezza età e vive con sua moglie Corona, una donna galiziana trapiantata da queste parti. Fortunato non lavora più, vive della sua pensione che ha maturato in Svizzera, dove è stato a lavorare per tanti anni, prima come imbianchino e poi come operaio di una fabbrica di vernici, infine in una falegnameria. Oggi è uguale a ieri e Fortunato siede sempre su una panchina di legno scorticata, e divora il tempo pensando al suo paese che non riconosce più, guardando la fontana che piscia acqua sempre con lo stesso spruzzo; pensa alla Svizzera che lo ha tradito perché gli ha portato via i suoi figli e guarda le sue mani per scorgere nei calli e nelle venature incise nei palmi i ricordi del tempo in cui aveva la forza, quando si alzava la mattina presto con ancora addosso i vestiti del giorno prima. Osserva il muschio che proviene da sotto terra che si arrampica sulle mura e sul tufo e i ciuffi d’erba che scavalcano i marciapiedi di pietra, sbavano a ciocche e tacciono per sempre e non si muovono più.
La storia di Piero
1 mese fa
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