domenica 12 aprile 2009

Rocca d'Evandro





Rocca d’Evandro. Il vento spira fin sulla rocca del Castello, accarezza le torri e scivola sul catenaccio che tiene chiuso il varco d’accesso al palazzo. Sono sulla cima delle cime. In vetta. Mi tolgo il casco. Siedo a terra e guardo intorno. Sensazione indescrivibile. Dietro di me il castello, intorno il vuoto e davanti una vallata di roccia e di silenzio gelato che schiafeggia la pareti della montagna, che bagna i castagni spogli, che fischia sulle pietre e dentro le porte. Quassù tu non ci puoi essere. Quassù tu non ci potrai mai essere. Anche io, qui da solo, sono di troppo e sento di essere qualcosa che disturba questa grande pace selvaggia. Quello di fronte a me è il Monte Camino dove avvene lo scontro tra Alleati schierati a Mignano Montelungo e i Tedeschi disposti a Cassino e sulla Rocca. Giovanni, un uomo panciuto che indossa pantaloni classici camicia a quadri sotto ad una giacca di tuta, mi spiega, sotto un sole già alto, che Rocca d’Evandro agli inizi del novecento era un centro di artigiani e commercianti. Calzolai, pescivendoli, venditori di spezie. Ogni porta del paese ospitava un commercio. Mi dice che sono rimasti in trecento, una volta erano tremila. Sai come è nata Rocca d’Evandro mi dice, mentre la sua voce echeggia in un silenzio imbarazzante. Perché il Garigliano un tempo era un fiume navigabile e per sfuggire agli attacchi dei turchi che andavano su e giù per il fiume a saccheggiare le città a ridosso del corso d’acqua, le popolazioni si vennero a rifugiare qui sopra e costruirono il castello sulla rocca, proprio per difendersi dagli attacchi dei predoni stranieri.
Sono le tre e non c’è un’anima nel paese, tranne Giovanni che mi racconta queste cose al centro della piazza, davanti alla chiesa. E’ un ragazzone che conosce meglio di molti libri la storia di questi posti, ed io ne approfitto. L’unico Bar è chiuso. Più in là un vecchietto riposa su una panchina. Mi avvicino e, senza che io gli chiedessi nulla, lui mi risponde che il prete lascia le chiavi della chiesa al Bar. Insisto con la mia domanda. Ma comi vi chiamate. Il prete lascia le chiavi della chiesa al Bar. Mi faccio un giro per il paese. Una coppia di signori mi chiede se, per caso, sto cercando qualcuno.
Decido di andare a Mignano Montelungo, dall’altro lato della montagna. Ci vado seguendo le indicazioni del benzinaio. Invece di aggirare la montagna la taglio da sopra. Seguo la strada che si perde tra i monti, salgo fino alla cima e scendo giù a valle in un percorso imperdibile per chi gira in moto. Arrivo a Mignano Montelungo, il dialetto è ostile, risente delle influenze laziali. E poi non mi piacciono i paesi che si sviluppano su una strada, anche se la città di Mignano Montelungo vanta un passato di tutto rispetto visto che oltre ad essere stata dominata dai Sedicini, dagli etruschi e dai Romani è appartenuta alle contee di Benevento e di Capua.

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